La Cassazione del 5.5.2015 n. 8938 ha stabilito che le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale dell’art. 2702 cc., né quella processuale dell’art. 214 cpc, atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo.
Nel sistema processuale le prove possono essere anche documentali, in altri termini è possibile provare un fatto o un evento o un diritto mediante dei documenti. In alcune ipotesi la prova può essere solo basata su un documento, basta pensare alla transazione che richiede la forma scritta ai fini della prova o alla prova della titolarità di un diritto reale (proprietà) che richiede presuppone un documento scritto (il contratto di acquisto).
Di solito il documento che viene prodotto in un processo proviene (nel senso è stato creato) da una delle due parti processuali, può capitare, però, che il documento provenga da un soggetto terzo (estraneo alle parti processuali), in queste situazioni occorre comprendere quale valore probatorio assume tale documento e come difendersi o come contestare un documento proveniente da un terzo.
Principio generale è dato dal fatto che le scritture provenienti da terzi estranei al processo, pur non avendo il valore di prova piena, possono fornire elementi indiziari atti a concorrere alla formazione del convincimento del giudice.
Le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, questo tipo di documenti costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo. Nell’ambito delle scritture private deve, peraltro, riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso, onde contestarne l’autenticità (non applicandosi ai documenti provenienti da terzi) né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 cod. civ., né quella processuale di cui all’art. 214 cod. proc. civ.
Quindi, una parte processuale può produrre in giudizio un documento proveniente da un terzo, (la produzione nel processo di documenti di terzi non è vietata), ma ha l’onere di provare l’autenticità del documento del terzo, in difetto di questa prova, il documento proveniente dal terzo non può avere alcun valore probatorio, neppure di semplice indizio. Questo perché l’art 2702 c. c., che disciplina l’efficacia nel giudizio della scrittura privata in relazione al riconoscimento effettivo o legale, e le norme, di cui agli art. 214 cpc, sono applicabili esclusivamente alle scritture provenienti dai soggetti del processo.
Risulta evidente che in presenza di documenti provenienti da un terzo, l’onere della verificazione è invertito rispetto, l’onere della contestazione relativa alla veridicità di un documento formato da una delle parti processuali.
Anche se i documenti (intesi come atti o contratti) provenienti da un terzo non hanno un’efficacia probatoria piena, questo non esclude che una parte processuale, che si veda depositare dall’altra parte processuale un documento proveniente da un terzo, possa avere l’interesse a contestarne formalmente l’autenticità (anche al solo fine di evitare che il contenuto del documento possa essere data una rilevanza) anche solo per impedire che dal proprio comportamento il giudice possa trarre delle valutazioni sulla veridicità o per eliminare ogni dubbio sull’utilizzabilità probatoria del documento.
Infatti, resta ferma la libertà del giudice di formare il proprio convincimento circa la veridicità formale della scrittura, in base agli elementi probatori acquisiti agli atti del processo, nonché al comportamento della parte contro la quale la scrittura viene prodotta, anche in relazione a particolari circostanze che a tale contegno possano conferire una speciale significazione e rilevanza probatoria.
Conseguentemente, sotto questo limitato profilo, può ammettersi la facoltà di disconoscimento della parte contro la quale viene prodotta una scrittura proveniente da soggetto estraneo al giudizio, la quale facoltà può esercitarsi positivamente al di fuori delle preclusioni dell’art 215 cpc ed il cui mancato esercizio può essere apprezzato dal giudice per dedurre un elemento di prova circa la autenticità del documento.
E la facoltà di disconoscimento, proprio perché non ancora ai limiti previsti dall’art. 214 e 216 cpc (che riguarda unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo e presuppone che sia negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento è prodotto) può essere esercitata anche oltre i limiti previsti da tali articoli.
Altra conseguenza di quanto detto relativamente ai documenti provenienti da terzi è data dal fatto che la parte può limitarsi al disconoscimento, non essendo necessaria una querela, posto che nell’ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento (querela di falso) a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso, al fine di contestarne l’autenticità.
questo articolo è a cura di
Paolo Giuliano
Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l’Università “Federico II”; Mediatore professionista